Nel nostro Paese, il concetto di videosorveglianza inteso come “trattamento dei dati personali” – oggetto di controllo da parte del Garante della Privacy – si è affermato nel tempo, grazie a mutati input culturali e tecnologici. Un’escalation partita negli anni ‘70 e scandita da più step normativi.
Gianluca Pomante
Avvocato
Esperto in tema di Privacy e IT
Il concetto di videosorveglianza come trattamento dei dati personali di un soggetto esterno a una determinata organizzazione o entità giuridica iniziò a farsi strada nell'ordinamento italiano con la modifica dello Statuto dei Lavoratori, allorché fu data rilevanza alla registrazione dei filmati in ambito lavorativo.
Gli impianti audiovisivi, così li chiamava l’originario art. 4 della L. 20/05/1970, potevano essere installati solo se richiesti da esigenze organizzative e produttive o per ragioni di sicurezza sul lavoro, previo accordo con le rappresentanze sindacali o con l'Ispettorato del Lavoro.
Successivamente la norma si è evoluta in chiave tecnologica fino all'attuale formulazione ma, nel frattempo, la materia della videosorveglianza è entrata a pieno titolo tra i trattamenti oggetto di controllo e verifica dell'Autorità Garante per Protezione dei Dati Personali, più nota come Garante Privacy.
Convenzione del Consiglio d’Europa
e Direttiva Europea
Tutto inizia nel 1981, con la Convenzione del Consiglio d’Europa n. 108, successivamente richiamata e ampliata dalla Direttiva Europea n. 95/46/CE, del 24 ottobre 1995, con la quale viene per la prima volta regolamentata, per linee generali, la tutela della riservatezza dei dati personali dei cittadini europei e la circolazione dei dati stessi all’interno e all’esterno dell’Unione.
Tra i vari “considerando” della citata Direttiva è possibile individuare il principio generale, secondo il quale i sistemi di trattamento delle informazioni sono al servizio dell’uomo e devono, quindi, essere utilizzati nel rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali dell’individuo, non contro di esso.
Le tecnologie devono contribuire al progresso economico e sociale del cittadino ed elevare il suo livello di benessere.
Non possono, quindi, essere utilizzate per scopi contrari a tali obiettivi né un cittadino può utilizzarle in modo da ledere i diritti altrui.
La Direttiva non individua direttamente il trattamento consistente nell'uso di telecamere di videosorveglianza o videocontrollo, a seconda che sia con operatore o senza operatore, con registrazione o senza registrazione di immagini.
Più in generale, essa delinea il concetto di “dati personali degli individui consistenti in immagini e suoni” e gli ambiti in cui il diritto alla riservatezza del privato soccombe rispetto alle esigenze d'interesse pubblico all'acquisizione di dati per ragioni di pubblica sicurezza, di difesa dello Stato, di indagini giudiziarie ed attività di tutela dei diritti in sede giurisdizionale.
La legge 675/1996, nel recepire quasi integralmente la Direttiva Europea n. 46 del 1995, non fa alcun riferimento all'acquisizione di dati mediante videocamere, anche a causa della pedissequa traduzione della Direttiva senza troppe interpretazioni.
Successivamente sarà l'esperienza, in particolare quella del Garante Privacy, a dettare le regole per l'utilizzo delle nuove tecnologie.
Monitoraggio del territorio
L'Autorità viene chiamata quasi immediatamente a pronunciarsi sulle installazioni del Comune di Milano e del Comune di Romano di Lombardia, finalizzate a supportare le Forze dell’Ordine nella lotta alla malavita, monitorando le aree ritenute sensibili del territorio comunale, a fini di prevenzione e repressione dei reati.
Il Garante, nel parere reso a seguito dei quesiti, chiarisce che, pur in assenza di una precisa regolamentazione, la Legge 675/96 è senz’altro applicabile anche ai trattamenti di suoni e di immagini effettuati attraverso sistemi di videosorveglianza, a prescindere dalla circostanza che tali informazioni siano eventualmente registrate in un archivio elettronico o comunicate a terzi, dopo il loro temporaneo monitoraggio in un circuito di controllo.
Non coglie nel segno la precisazione secondo la quale le registrazioni effettuate mediante l’uso di telecamere non necessariamente contengono dati di carattere personale, in quanto la distanza, l’ampiezza dell’angolo visuale, la qualità degli strumenti, ecc. possono non rendere identificabili le persone inquadrate.
Salvo casi eccezionali, infatti, una telecamera di videosorveglianza viene di solito installata proprio per consentire il riconoscimento dei soggetti inquadrati, dato che, diversamente, a fini di prevenzione e repressione dei reati servirebbe a ben poco.
A ogni modo, l'Ufficio del Garante evidenzia la necessità di verificare se l’attività di videosorveglianza rientra tra le funzioni istituzionali dell’Ente e se vi sono le condizioni per la sicurezza dei sistemi e l’uso corretto delle informazioni acquisite.
Pur condividendo la tesi secondo la quale la prospettiva dell’attivazione di un sistema di videosorveglianza, privo di un insieme articolato di garanzie, potrebbe minare la riservatezza dei cittadini - e, in tal senso, ben venga l’individuazione delle misure di sicurezza, delle modalità di trattamento dei dati, dei soggetti legittimati ad accedere alle registrazioni anche all’interno dell’ente, nonché delle modalità e dei limiti dell’eventuale messa a disposizione delle registrazioni in favore di altri soggetti pubblici - non si può fare a meno di rilevare come troppo spesso, in questo periodo di prima applicazione, le risposte del Garante in materia siano risultate sfuggenti, e più finalizzate a non “vincolarsi” a pareri ufficiali che a fare effettivamente chiarezza sull’argomento.
Telecamere nelle strutture sanitarie
Nel 1999 le segnalazioni al Garante si fanno più frequenti e interessano, ad esempio, il trattamento effettuato da una ASL per fini di sorveglianza delle strutture, sia per prevenire reati contro il patrimonio ed eventuali aggressioni alle persone, che per monitorare i pazienti ospitati.
L’Authority chiarisce che i dati raccolti tramite l’installazione di telecamere all’interno degli ospedali, in quanto relativi a persone malate, sono da considerarsi di natura sensibile; il loro uso, pertanto, per l’assistenza e la cura dei pazienti, il controllo dei ricoverati in rianimazione e la sicurezza all’interno del pronto soccorso, pur rientrando tra le finalità istituzionali degli organismi sanitari, deve essere condizionato all’individuazione di misure di sicurezza idonee alla conservazione delle immagini, del personale autorizzato ad accedere a tali informazioni, delle procedure volte a garantire che il trattamento avvenga nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza rispetto agli scopi perseguiti.
Afferma, inoltre, che la presenza di telecamere deve essere segnalata anche mediante l’affissione di appositi cartelli negli spazi aperti al pubblico, affinchè gli utenti che entrano nel loro raggio di azione siano preventivamente informati della presenza dei dispositivi di rilevazione.
I cartelli devono, inoltre, specificare, anche in forma sintetica, le finalità e modalità di raccolta e trattamento dei dati, le facoltà esercitabili in qualità di interessati e il termine di conservazione delle immagini, da giustificare secondo la necessità e lo scopo da perseguire.
Dai provvedimenti del Garante si evince chiaramente che anche la semplice installazione di una videocamera deve essere conforme alle disposizioni sul trattamento dei dati personali.
Nell'informativa da rendere agli interessati, anche in forma sintetica, devono essere specificate:
- la finalità del trattamento
- la modalità di utilizzo e conservazione delle immagini
- le misure di sicurezza adottate
- la possibilità di esercitare i diritti previsti dalla normativa vigente
Video sui mezzi pubblici urbani
Il 23 marzo 1999 la Città di Torino chiede al Garante della Privacy se sia legittima l’installazione di telecamere di sorveglianza sui mezzi di trasporto pubblico urbano, di concerto con il Prefetto e le autorità di Pubblica sicurezza, nel quadro di un’azione mirante a contenere il fenomeno della criminalità e a diminuire la pericolosità di ambiti cittadini particolarmente insicuri, tra cui il trasporto pubblico urbano, spesso teatro di atti di vandalismo e altri reati.
Il progetto ipotizza l’installazione di telecamere collegate a un dispositivo di registrazione non accessibile al conducente, con registrazione codificata limitata all’arco temporale delle 24 ore, visionabile solo tramite inserimento del supporto di memorizzazione in una “stazione di lettura” in grado di decodificare le immagini e trasferirle su altri supporti.
Operazione possibile, ovviamente, solo se la segnalazione di un illecito perviene entro le 24 ore e solo in presenza delle Forze dell’Ordine e dell’Autorità Giudiziaria.
Nell’occasione, il Garante chiarisce che il trattamento non può essere inquadrato nell’ambito dell’art. 4 della Legge 675/96 per l’assenza di una specifica norma che autorizzi l’attività da svolgere.
Nel contempo, tuttavia, riconosce al Comune di Torino la facoltà di perseguire la finalità di tutela del patrimonio pubblico e della qualità della vita dei cittadini come funzione istituzionale dell’Ente, sufficiente per legittimare il trattamento.
In questo quadro l’azienda di trasporto che esercita il servizio viene individuata come soggetto “responsabile” del trattamento, ex art. 8 della legge n. 675.
Tra le indicazioni per un corretto utilizzo degli apparati, l’Autorità segnala i precisi limiti posti all’installazione di impianti audiovisivi dall’art. 4 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (cd. Statuto dei Lavoratori) e la necessità di dotare le stazioni di lettura di una doppia chiave da utilizzarsi congiuntamente, una in possesso del personale preposto dalla Azienda di trasporti, l’altra in possesso dell’autorità di Polizia).
Aggiunge, anche, che le informative sul trattamento dei dati personali devono essere apposte sui mezzi e, in particolare, in ogni fermata, affinché il cittadino che transita (ma soprattutto quello che intende stipulare il contratto di trasporto) sia informato dell'esistenza delle telecamere sui mezzi e della possibilità di essere ripreso anche accidentalmente durante la permanenza nelle fermate.