Delineare il corretto rapporto tra privacy e discrezione è sempre arduo. E l’esercizio è ancora più complesso se la questione riguarda alberghi e hotel, location in cui ci si reca per ragioni di svago o di lavoro, con l’esigenza di stare soli, indisturbati e, spesso, di effettuare incontri riservati
Alberghi e hotel sono, per definizione, strutture “aperte”, pronte a “ricevere”, in cui transitano ogni giorno flussi più o meno costanti di ospiti - occasionali e affezionati - tra i quali si mescolano personale di servizio, persone che chiedono informazioni e, in molti casi, semplici curiosi.
Un via vai continuo, dunque che, a partire dalle strutture di medie dimensioni, viene costantemente monitorato - agli ingressi, nelle hall e ai piani - sia per ragioni di safety che di security.
L’esigenza, da parte dei gestori, è una sola: garantire agli ospiti un soggiorno il più possibile confortevole, “protetto”, sicuro, prevenendo - e cogliendo sul nascere - potenziali situazioni di rischio dovute a problemi impiantistici, alle infrastrutture, a malfunzionamenti e principi di incendio, fino ad arrivare alle intrusioni indesiderate, ai furti e alle aggressioni.
Tale compito viene svolto dai sistemi di videosorveglianza, con prestazioni sempre più performanti e apprezzate dai singoli utilizzatori.
Chi inquadrare?
Tuttavia, prima di pensare all’istallazione, è necessario chiedersi quale sia il reale obiettivo del sistema video.
Le funzioni delle telecamere, infatti, oggi, sono davvero molteplici, con un livello di dettaglio che può andare oltre le sole esigenze di sicurezza, arrivando a inquadrare e a registrare dati riservati e rivelandosi - all’interno di alberghi e hotel - particolarmente invasive.
Così, anche se finalizzate a garantire un maggiore livello di sicurezza, rischiano di ledere alcuni dei fondamentali diritti delle persone e dei lavoratori.
Una questione che, nel 2011, ha indotto il Garante della Privacy a emanare il provvedimento 142.
Il documento si è focalizzato sul fatto che le telecamere inquadrano anche i dipendenti di un hotel e questo implica l'obbligo di rispettare l'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
La legge 300/70, infatti, vieta esplicitamente “l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”.
Questo significa, all'atto pratico, che le persone non possono essere riprese durante la loro attività lavorativa.
Da qui il pronunciamento del Garante, nel quale viene specificato che, affinché il trattamento dei dati personali relativi ai propri lavoratori possa reputarsi conforme alla disciplina di protezione dei dati personali, la struttura alberghiera che installa telecamere di videosorveglianza deve raggiungere "uno specifico accordo con le rappresentanze sindacali aziendali riguardo all'installazione e al funzionamento del sistema di videosorveglianza" o, in alternativa, ottenere una specifica autorizzazione da parte della direzione provinciale del lavoro competente.
L'Authority, inoltre, ha specificato che, secondo la giurisprudenza, il divieto di controllo a distanza dell'attività lavorativa non è escluso nemmeno dal fatto che lo stesso sia destinato a essere discontinuo.
Quindi, benché i sistemi di videosorveglianza siano a tutti gli effetti legittimi, è spesso difficile tracciare una corretta linea di demarcazione tra le esigenze di controllo e quelle di libertà personale.
Anche per questa ragione è opportuno fornire, alle persone che possono essere riprese, indicazioni chiare e sintetiche, che avvertano della presenza di impianti di videosorveglianza, fornendo informazioni necessarie ai sensi dell'art. legge n. 675/1996 (oggi Codice Privacy).
Ciò è tanto più necessario quando le apparecchiature non siano immediatamente visibili.
É inoltre fondamentale ricordare che solo i responsabili e gli incaricati designati del trattamento dei dati, oltre alle Forze di Polizia, sono autorizzati a prendere visione delle registrazioni.
Allo stesso modo, anche quando le telecamere hanno il solo scopo di permettere il controllo a distanza, ma senza una registrazione delle immagini, la visione degli schermi deve essere consentita al solo personale autorizzato e impedita agli altri ospiti.
Infine,occorre ricordare che i dati raccolti per determinate ragioni di sicurezza non possono essere utilizzati per finalità diverse, così come non possono essere diffusi o comunicati a terzi.
Cablaggio oppure no?
Oltre alle caratteristiche dettate dalle esigenze di un'adeguata inquadratura, in molti casi le posizioni sono influenzate da esigenze estetiche, da vincoli architettonici e, soprattutto, dal cablaggio.
Non possiamo dimenticare, infatti, che una telecamera necessita di essere alimentata e di inviare il segnale al punto di controllo.
Questo significa che, tipicamente, ogni apparecchio deve essere raggiunto da almeno due cavi, con tutte le problematiche del caso.
In particolare, soprattutto negli hotel creati all'interno di edifici storici, il cablaggio rappresenta una problematica non trascurabile, in quanto potrebbe essere vietata la realizzazione delle necessarie “tracce”.
Un'operazione che, comunque, implica sempre disagi, costi elevati, lunghi tempi di realizzazione e di ripristino della superficie originaria.
Qualunque scelta, quindi, deve necessariamente prendere in considerazione la raggiungibilità della telecamera stessa.
In tale ambito, rispetto al passato, la tecnologia ha compiuto enormi progressi, soprattutto grazie alle telecamere wireless, soluzioni in grado di trasmettere le immagini via radio.
In questo caso, comunque, l'alimentazione elettrica rimane fondamentale.
Anche se, per alcune installazioni, è possibile sfruttare l'impiego di pannelli fotovoltaici o di batterie, evitando così la necessità di invadenti opere murarie.
L'installazione di una telecamera priva di qualunque collegamento fisico alla rete dati o a quella elettrica comporta comunque una serie di problematiche.
I pannelli fotovoltaici, anche quando illuminati, occupano necessariamente una superficie non trascurabile e, quindi, il loro impatto visivo può essere significativo, soprattutto negli ambienti interni.
Si tratta, quindi, di un impiego possibile solo in ambienti esterni, come i parcheggi e i perimetri.
L’alimentazione
Non possiamo non tenere conto del fatto che, soprattutto nelle aree montane e nelle zone particolarmente fredde - dove gli involucri vengono alimentati da resistenze elettriche in grado di prevenire la formazione di brina o di ghiaccio - l'assorbimento di energia elettrica è relativamente elevato e, per tale ragione, risulta necessario installare batterie ingombranti per garantire l'alimentazione anche durante le ore notturne, ovvero quando la videosorveglianza è maggiormente necessaria.
All'interno degli edifici, invece, l'unica alternativa all'assenza di alimentazione diretta è costituita dall'impiego di batterie.
Una soluzione che, però, offre un'autonomia limitata e, quindi, comporta la necessità di continue sostituzioni, che rappresentano un impegno e un costo significativi.
Un parziale aiuto arriva dalla tecnologia PoE - Power over Ethernet.
Si tratta di una soluzione che consente di fornire l’alimentazione elettrica alle telecamere tramite il cavo Ethernet, normalmente utilizzato per la trasmissione dei dati.
Questo significa, all'atto pratico, che è possibile realizzare un solo collegamento, evitando così la necessità di predisporre anche il cavo elettrico.
Tanti cavi, poco fumo
Detto che, nella realizzazione di un impianto di videosorveglianza, la predisposizione dei cavi rimane imprescindibile, occorre prestare una particolare attenzione anche alla tipologia di cavo installato o, meglio, alle guaine di protezione.
Gli hotel, infatti, sono classificati “ambienti chiusi frequentati dal pubblico”. In questi edifici, le Norme CEI 11-17 e CEI 20-37 stabiliscono precisi limiti all’emissione di gas tossici e fumi in presenza di incendi.
Un'efficace risposta a tali prescrizioni, negli impianti elettrici e nelle reti dati, è fornita dai cavi classificati LS0H - Low Smoke Zero Halogen che, come indica il loro nome, hanno una bassa emissione di fumi e sono privi di alogeni.
In termini assoluti, infatti, non esistono né cavi autoestinguenti, né cavi antifiamma.
Nessuna delle due definizioni, infatti, permette di identificare una caratteristica peculiare, mentre è più corretto utilizzare i termini: non propaganti la fiamma, non propaganti l’incendio, resistenti al fuoco e con resistenza intrinseca al fuoco.
L'impiego di cavi classificati LS0H si rivela particolarmente efficace, oltre che necessario, proprio sulla scorta di dati oggettivi.
Una serie di studi, elaborati dai verbali forniti dai Vigili del fuoco, indica come l’85% delle vittime degli incendi perda la vita per soffocamento, ancor prima di essere raggiunta dalle fiamme o dal calore.
Questo significa che, soprattutto nelle “strutture a lento abbandono” come alberghi e hotel, è necessario scegliere con cura anche la componentistica elettrica e, in particolare, le guaine utilizzate per l'isolamento dei cavi.
Tali elementi, infatti, sono solitamente realizzati in Pvc, in cui l'elevato tenore di cloro impedisce la propagazione delle fiamme.
Il cloro, però, rilascia vapori ad azione tossica, oltre che corrosiva, e provoca un fumo opaco, rendendo difficile la rapida evacuazione dei locali.
Una situazione che aumenta il panico tra le persone presenti, oltre a rendere più difficoltose le operazioni di soccorso.
Massimiliano Cassinelli
Ingegnere
Progettista reti TLC