Valutare tutti i rischi significa elaborare un progetto completo di sicurezza integrata, capace di soddisfare i reali bisogni dell’utente, scegliendo difese e impianti adatti e facili da gestire e, soprattutto, senza fargli spendere somme inutili.
Qualsiasi esigenza di difesa da parte del cittadino nasce dalla percezione di insicurezza “relativa” e dalla conseguente analisi delle tipologie di rischio che egli pensa di dover affrontare.
E’ un discorso che spazia in tutti i settori della sicurezza - dalla safety all’antincendio, alla security e alla tutela ambientale - e che ha per oggetto la salvaguardia della propria integrità fisica e dei propri beni.
Nello specifico, per quanto riguarda la security, la percezione di rischio ha variegate connotazioni, connesse alle problematiche sociali e geopolitiche, come pure a quelle specifiche di una particolare situazione che si vive.
Entrare e permanere in un ufficio pubblico, in una banca, in un luogo di culto, in un teatro, in uno stadio, è cosa diversa dal transitare e sostare in una stazione della metropolitana o percorrere una strada solitaria e poco illuminata.
Insomma, ogni cittadino ha cominciato a fare i conti con una sempre meno arginabile percezione di insicurezza, che lo spinge a ricorrere al fatalismo solamente quando ha, secondo lui, minimizzato il rischio percepito con il mettere in atto tutte le possibili cautele.
Specialmente ora, dopo i drammatici eventi terroristici che hanno messo sotto scacco Parigi, la Francia e l’Europa intera.
Se per l’occasionale svolgimento di alcune attività quotidiane, allora, ci si trova necessariamente ad affrontare “scenari mutanti” (a seconda dell’affollamento, del luogo, dell’orario ecc.), magari per spostamenti e per azioni estemporanee limitate nel tempo, nei luoghi dove si permane, come a casa e sul luogo di lavoro o di studio, è necessaria un’analisi e valutazione più puntuale dei rischi, in modo da individuare le misure permanenti, tecniche e comportamentali più adatte a opporsi al materializzarsi di un possibile pericolo.
Il vero problema è quello di individuare le diffuse e reali vulnerabilità con le quali viviamo ogni giorno.
Basti pensare ai luoghi frequentati dal pubblico, con elevata densità di affollamento in particolari giornate e orari. Tutti possibili obiettivi ad alto impatto emotivo e di grande spettacolarità mediatica. Ma, se in questi luoghi ci si reca “occasionalmente”, altri vedono la nostra presenza sistematica e quotidiana.
Luoghi di lavoro: la monetizzazione del rischio
Sembrerebbe scontato che nei luoghi di lavoro una corretta analisi e valutazione dei rischi sia stata fatta e che le misure conseguenti siano state perfettamente attuate. E nella maggior parte dei casi è proprio così.
Anche se non tutti i Documenti di Valutazione dei Rischi (DVR) contengono una valutazione quantitativa dei pericoli di security.
Molti - troppi - si limitano a una valutazione generica e standardizzata per categorie di scenari, ricavati cioè da tabelle sommarie facilmente rintracciabili sul Web e dove i rischi di security sono indicati solo qualitativamente.
Penso alle scuole, agli ospedali, ai centri commerciali, ai luoghi di culto e di svago, agli hotel e ristoranti.
Luoghi dove è difficoltoso anche monitorare tutti gli accessi, la circolazione e la permanenza di merci e persone esterne, di utenti e clienti e dove il rischio “security” continua a essere ritenuto (a torto) trascurabile e più remoto rispetto ai pericoli connessi alla safety e all’antincendio.
Ma le problematiche non sono solamente queste.
La maggior parte dei datori di lavoro ritiene l’analisi e la valutazione dei rischi principalmente un obbligo burocratico, costoso e con poco ritorno e non già un investimento in sicurezza.
Si comincia a risparmiare sul professionista che deve elaborare il DVR. E poi ecco l’arma dell’accettabilità dei rischi che da questi “datori di lavoro” viene spessissimo usata per abbassare il livello di valutazione individuato dei rischi e con esso le spese necessarie all’attuazione delle misure di difesa proposte.
Una vera e propria “monetizzazione del rischio”. Come a dire: rischio forse di più, ma certamente spendo di meno. E poi perché, se non è mai successo nulla?
Hai voglia a cercare di far comprendere che l’analisi e valutazione di tutti i rischi deve essere affidata a un professionista competente e di fiducia, che le risultanze devono essere rispettate e accettate (e non ridotte) e che poi debba essere elaborato un Piano di Sicurezza che comprenda, oltrealle misure tecniche, le procedure comportamentali, di controllo e di intervento, nonché una corretta e puntuale informazione e formazione degli addetti alla sicurezza e delle persone estranee.
Già, perché le persone estranee - i cosiddetti “visitatori” - sono informati (ma solo nelle aziende) con un foglietto consegnato all’ingresso, relativamente alle tipologie di segnalazione di allarme. E cioè sull’emergenza, non sui rischi possibili.
Cosa che stronca completamente il possibile approccio di reazione comportamentale del “visitatore”, il quale, se ode una segnalazione di allarme, non è in grado di capire cosa possa succedere.
E infine occorre far comprendere ai datori di lavoro che un Piano di sicurezza, così come un DVR o un Documento di Policy, non è un elaborato “chiuso e concluso”, ma è dinamico, da migliorare, aggiornare e adeguare periodicamente tramite verifiche costanti. E’ allora una sfida di carattere culturale prima che di applicazione della normativa.
Commercio e grande distribuzione
Se entrando in un esercizio commerciale, la percezione di insicurezza viene esorcizzata o letteralmente ignorata dalla clientela - tesa a fare una determinata spesa o a utilizzare un certo servizio - il titolare dell’attività ha tutto l’interesse che il cliente sia invogliato all’acquisto, magari diffondendo un sottofondo musicale rilassante e rassicurante.
E poi - si pensa - il rischio di rapina o di un atto doloso sono comuni a quasi tutti i negozi, specialmente quelli di lusso.
Quindi, si ritiene che la clientela debba essere preparata a tali rischi come fosse per la strada.
Semmai ci siano delle misure “evidenti”, queste sono solo per proteggersi dai furti (colonnine antitaccheggio e telecamere). Come a dire: vale più la merce che il compratore!
C’è da sottolineare - e lo faccio non certo sommessamente - che la stragrande maggioranza delle attività commerciali non ha neppure un DVR e, a mala pena, possiede un estintore (che non ho la certezza di chi e come lo sappia usare).
Ecco perché la formazione del personale diventa fondamentale non tanto per la risposta di contrasto in ambito security, ma per la tutela dell’integrità fisica anche della clientela.
La sicurezza improvvisata, “fai da te”, per queste tipologie di esercizi commerciali è sempre deleteria.
Discorso specifico poi è quello delle tecnologie di sicurezza installate. Ormai la moda è quella di dotarsi di un impianto TVCC, magari con videoregistrazione.
Se ne vedono centinaia, posizionati in modo strategico ma quasi mai asserviti a un sistema di allarme che provenga da pareti o vetrine, e solo poche volte integrato con sistemi volumetrici e infrarossi (a doppia o tripla tecnologia), laddove si tratti di una farmacia, di una tabaccheria, di un’oreficeria, di un negozio di grandi marche di abbigliamento.
In definitiva, privilegiata appare la sola difesa dal furto. E allora, a che dovrebbe servire interpellare un professionista per una corretta analisi e valutazione di tutti gli altri rischi di security?
Anche qui il discorso è di carattere culturale. E non solo rivolto ai proprietari di un esercizio commerciale, ma soprattutto alla clientela che, naturalmente o volutamente, tende a ignorare possibili pericoli di security.
Residenze private
In ambito privato, non ci sono più scuse che tengano. Non ci sono, ovviamente, obblighi di legge, ma prevale esclusivamente la percezione di sicurezza o insicurezza di coloro che vi abitano.
Qui ognuno di noi è molto influenzato dalla percezione personale di rischi e pericoli, che varia notevolmente da individuo a individuo e anche a seconda delle specifiche situazioni che si vivono.
In casa la sicurezza risiede in uno “stato d’animo”, influenzato temporaneamente dal furto patito da un vicino come da una leggera scossa di terremoto avvertita.
Ma poi finisce per spegnersi nel giro di qualche decina di ore. Trionfa di nuovo il fatalismo, il calcolo statistico (è successo già… ma fortunatamente ad altri), la fiducia nella buona sorte.
In ambito domestico e residenziale, il primo rischio da cui difendersi è proprio quello dell’accettabilità “a prescindere” di possibili pericoli che vengono considerati ipotetici e non realistici e, quindi, neppure da prendere in considerazione e valutare.
Per coloro che sono, invece, più sensibili alla sicurezza in casa e pensano a difendersi, urge fare un’attenta riflessione che finisce per coinvolgere gli installatori.
I bisogni e le richieste dell’utenza domestica sinteticamente sono:
- l’utenza palesa solamente l’urgenza di un bisogno (quello di proteggersi) e richiede una qualche soluzione, a prescindere dalle tipologie e dalle caratteristiche di mezzi forti o di funzionamento di apparati e impianti che sono sul mercato o che gli vengono proposti (che tra l’altro non è assolutamente in grado di valutare tecnicamente)
- l’utenza, a fronte di una soluzione presentatagli, sceglie, a parità di effetto desiderato (o promessogli), ciò che gli costa meno
- l’utenza è più o meno sensibile al bisogno di sicurezza, ma in realtà non riesce a definirlo e a bene inquadrarlo nelle sue peculiari caratteristiche, né tanto meno a valutarlo
- l’utenza palesa una diffusa “ignoranza” nel campo, imputabile specialmente alla mancanza di informazione e formazione (tra gli altri, ad esempio, da parte dei circuiti mediatici)
- nella maggior parte dei casi, le categorie degli installatori (ovviamente quelle professionali e non quelle “commerciali”) non appaiono in grado o non riescono a ben qualificare il “professionista installatore”. Quindi, è facile per i “bottegai” (che magari hanno il negozio pieno di apparati di scarsa qualità o addirittura obsoleti) superare con un minor costo la professionalità degli installatori bravi e competenti
- in molteplici casi, solamente pochi installatori (e cioè solo quelli adeguatamente formati e qualificati) sono in grado di elaborare un’analisi e conseguente valutazione di tutti i rischi possibili. Quindi - e questo accade sovente - si offre all’utente una soluzione parziale, della quale, prima o poi, l’utente stesso ne avrà cognizione. Di conseguenza, egli perde fiducia nell’intera categoria e ripiomba prigioniero della paura e dell’impotenza
Eco, dunque, che emerge la necessità, anche per residenze e abitazioni private, di rivolgersi a un professionista della sicurezza qualificato, che sappia analizzare e valutare tutti i rischi, individuando poi le relative misure tecnico-organizzative e comportamentali.
E valutare tutti i rischi significa poter elaborare un progetto completo di sicurezza integrata, capace di soddisfare i reali bisogni dell’utente, scegliendo difese e impianti adatti e facili da gestire e, soprattutto, senza fargli spendere somme inutili.